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gen 11 2008

Intervista a Briatore

LONDRA, 10 gennaio 2008 – "In Italia la casta degli eletti che gestisce il calcio e ogni altro aspetto della società non ti permette nemmeno di partecipare. Quindi me ne sto alla larga, a me piace essere giudicato solo per i risultati". Flavio Briatore torna così a prendere le distanze dal pallone made in Italy: in un’intervista a GQ in edicola in questi giorni con il numero 100 del mensile, il patron della Renault parla della sua avventura nei Queens Park Rangers, e del perché in Inghilterra vale la pena investire.
TRASPARENZA – "Qui sei sul mercato e giochi in una competizione pulita – spiega l’imprenditore – dove le regole non hanno chiaroscuri. Una sfida con un unico metro di giudizio: il merito. Ecco perché qui ci sono investitori da tutto il mondo mentre in Italia neanche uno". Delle differenze tra il calcio italiano e quello d’Oltremanica Briatore sottolinea anche la quotazione in borsa, una cosa che definisce "scandalosa. Ci sono tante società ben gestite, una su tutte il Milan. Ma sono società il cui unico capitale sono undici persone che corrono dietro a una palla. Che consistenza finanziaria possono avere?". E bacchetta anche le scappatoie adottate negli anni in Italia: "Qui un’ora dopo la chiusura dei transfer, senza copertura finanziaria, c’è solo la bancarotta. Gli stipendi si pagano ogni settimana, e se dopo trenta giorni non li hai pagati ancora tutti ti tolgono 15 punti".
SCANDALO – Invertire la tendenza in Italia "è impossibile". Quanto a Calciopoli, Briatore ha le sue idee: "Qual e il vero scandalo? Ognuno cercava di ottenere tutti i vantaggi che poteva, ma non c’è mai stato scambio di denaro. E la Juve ha pagato un prezzo decisamente troppo alto. Tutti avrebbero voluto fare quello che faceva Moggi: non ci riuscivano. Tutti lo cercavano e poi, dopo le intercettazioni, tutti pronti a saltare giù dal carro. Intendiamoci: Moggi era un male necessario per chi voleva vincere in Italia". Briatore non ha dubbi e ha scelto il calcio inglese: "L’arbitro non è mai discusso, perché non si sente protagonista. In Italia non ci torno più".
 
 


 
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LONDRA – «Calcio e F1 sono i due sport per eccellenza e noi abbiamo unito i mondi: competenze, marketing, sponsor, chi viene con noi risparmia». Sono le parole di Flavio Briatore a GQ, in edicola in questi giorni con ilnumero 100 del mensile, in cui racconta in esclusiva cosa pensa del mondo del calcio inglese (e italiano) inseguito all’acquisto dei Queen Park Rangers per 90 milioni di euro. Cifra con cui si sarebbe potuta acquistareanche una dignitosa squadra italiana di A. «È un challenge. Qui sei sul mercato e giochi in una competizione pulita, dove le regole non hanno chiaroscuri. Una sfida con un unico metro di giudizio: il merito. Ecco perchè quici sono investitori da tutto il mondo, mentre in Italia neanche uno». e poi «non è mai importante a quanto compri,ma importa a quanto vendi dopo cinque anni. È un discorso teorico. Poi, non va dimenticato che la cifra comprende anche lo stadio. Trovo scandaloso che in Italia abbiano permesso alle società di calcio di quotarsi in Borsa. Ci sono tante società ben gestite, una su tutte il Milan. Masono società il cui unico capitale sono undici persone che corrono dietro a una palla. Che consistenza finanziariapossono avere?». Una solidità tenuta insieme con gli spilli del decreto spalmadebiti. «Qui un’ora dopo la chiusura dei transfer, senza copertura finanziaria, c’è solo la bancarotta. Gli stipendi si pagano ogni settimana, e se dopo trenta giorni non li hai pagati tutti, ti tolgono 15 punti. Poi ti chiudono, senza possibili obiezioni. Per questo sono tutti onesti e solvibili». Come si può invertire la tendenza italiana? «È impossibile. La casta degli eletti, che gestisce il calcio eogni altro aspetto della società, dalla finanza alla politica, non ti permette nemmeno di partecipare. Figurati di vincere. Quindi, me ne sto alla larga. A me piace essere giudicato solo per i risultati». (Intanto, un problema i QPR l’hanno risolto: quello economico. «Su 19 milaposti di capienza totale, abbiamo una media di 16 mila spettatori: i biglietti costano molto più che in Italia, così facciamo il 50 per cento degli incassi del Milan campione d’Europa. La partita col Chelsea di FA Cup vale, da sola, un milione di sterline. Se arriviamo in Premier, ne prendiamo come minimo 60 di diritti televisivi, basta arrivare decimi e diventano 70. Poi, lo stadio è nostro: ci faremo concerti, lo renderemo davvero polifunzionale.Per questo abbiamo potuto riunire il gruppo d’azionisti migliore del mondo. Sono sei, tutti nella classifica di Forbes degli uomini più ricchi del pianeta». Da juventino all’estero, Briatore si è fatto un’idea precisa di Calciopoli. «È lo specchio di quello che succede in Italia. Qual è il vero scandalo? Ognuno cercava di ottenere tutti i vantaggi che poteva, ma non c’è mai stato scambio di denaro. E la Juve ha pagato un prezzo decisamente troppo alto. Tutti avrebbero voluto fare quello che faceva Moggi: non ci riuscivano. Tutti lo cercavano e poi, dopo le intercettazioni, tutti pronti a saltare giù dal carro. Intendiamoci: Moggi era un male necessario per chi voleva vincere in Italia». Secondo il manager della Renault la differenza più grande tra il calcio britannico e quello italiano è «la culturasportiva». «Non vedrai mai un giocatore chiedere il cartellino giallo per l’avversario. E l’arbitro non è mai discusso, perchè non si sente protagonista. In Italia sono tutti belli, atletici, telegenici. Qui hanno la pancetta e fischiano pochissimo, perchè non smaniano per farsi notare». «Se lo importerò in Italia? Neanche per idea! In Italia non ci torno più. In Inghilterra vivo, lavoro, ho casa. In Italia non ho niente, non mi lega niente».