Mi affascinò subito quel club con la maglia stile Celtic, diversa da tutte le altre, seppur egualmente affascinanti.
All’epoca, seguivo lo Sheffield Wednesday, poichè ci giocava il mio idolo Chris Waddle, ed il Southampton perchè c’era l’altra icona Matthew Le Tissier, ma poi, senza difficoltà, i londinesi presero il sopravvento.
Erano anni di relative vacche grasse, con il totem Les Ferdinand ed una serie di campionati abbastanza soddisfacenti per il nostro club.
Nel ’95 visito Londra e costringo la comitiva al pellegrinaggio al Loftus Road, con annesso sopralluogo sul campo, che (si era ad agosto) veniva lasciato aperto per gli allenamenti.Si poteva toccare l’erba persino, ed assistere ai giovani che galoppavano sul terreno.
Ovvia sensazione di fascino, oltre che stupore per un mondo professionistico così lontano dal prototipo italiano, dove anche un allenamento in alta montagna viene blindato e posto a pagamento, anche se si è al 15 luglio.
Dopo il campo, il negozio. meraviglioso. Acquisto maglietta n. 6 del citato Danny Maddix (foto), il Materazzi britannico dell’epoca, che la spunta al ballottaggio su Holloway ed il giovane Gallen (che all’epoca doveva diventare il nuovo Gerd Muller….). La scritta sulla schiena mi costringe a ritornare due giorni dopo, e ne approfitto per prendere sciarpa ed altri accessori.
Registro come anche il quartiere di White City sia gradevole e vivibile, per uno che da turista ha girato Londra nei luoghi storici del centro e nei grossi punti di afflusso turistico. Bambini che scorrazzano per le vie, negozietti per residenti, zero folla, e zero traffico. Per trovare l’impianto, chiedo ad un passante e poi ad un operaio che lavora sull’asfaltatura, il quale mi manda a quel paese schifato, poichè tifoso del Chelsea.
(evito, data la stazza del medesimo, di ricordargli che, all’epoca, la sua squadra gioca con un’orrida divisa-pigiama grigio e arancio, da far accapponare la pelle…)
Comunque, la sensazione è che si tratti di una squadretta rionale, e non di un club professionistico, pur sempre facente parte della "Serie A" inglese.
L’unico rimpianto è non esser riuscito a vedere un match del QPR, così lascio la terra d’Albione.
Nel ’99 vi faccio ritorno, di strada in un viaggio in Irlanda.
Stavolta, torno al Loftus Road con un biglietto per una partita e mi accingo al match con l’Huddersfield Town.
Son passati gli anni ed il QPR ha dovuto abbandonare la massima serie, lottando per la sopravvivenza nella First Division: anni cupi, estati in cui gli acquisti che devono far sognare le folle si chiamano Osborn e Goodridge (che tribolazioni…)
Finisce 3 a 1 per noi quella partita in un pomeriggio d’estate soleggiato, ma con minaccia di nuvoloni (adorerei un bel temporale sul match per renderlo più british, ma .. niente!)
Comnque è una bella vittoria, i tifosi cantano e la musica parte a tutto volume, ad ogni gol, ci sono talenti effervescenti in quell’undici, che promettono un futuro radioso (Darlington e Langley, che prima del calcio d’inizio, fimano autografi ai ragazzotti a un metro da noi, con grande familiarità…).
Dietro di me un ragazzone locale, con voce stentorea, commenta ogni azione dei nostri (OGNI AZIONE…) con un aggettivo appropriato, per tutta la durata della gara, poi la gente sciama, in mezzo ai banchetti di sciarpe ed hot dogs.