(Pubblico di seguito un articolo di Goal.com, relativo a QPR-Norwich, un bello spaccato del tifo al Loftus Road e del clima inglese in generale, ben scritto da Luca Manes)
Per il Queen’s Park Rangers la partita interna con il pericolante Norwich City rappresentava con tutta probabilità l’ultima occasione per riagganciare il treno dei playoff della Championship.
Purtroppo per loro, gli hoops – i “cerchi”, soprannome che prende spunto dalle strisce orizzontali bianco-blu della maglia – hanno miseramente fallito questa ultima chance di risollevare una stagione finora molto deludente. Eppure nonostante i Rangers siano reduci da una striscia di cinque match senza vittorie e ci sia un tempo da lupi, i tifosi non si tirano certo tirati indietro, riempiendo quasi del tutto le tre tribune del Loftus Road a loro riservate. Insomma niente spalti deserti, che invece sfortunatamente si vedono troppo spesso nella Serie B nostrana.
L’impianto dove da oltre 90 anni gioca il QPR è uno dei più comodi da raggiungere via tube, la mitica metropolitana londinese. Con la Central Line (linea rossa) sono poche fermate dal centro cittadino. Scesi a White City il tratto a piedi da compiere è breve, su una strada costeggiata a destra dal palazzone della BBC e a sinistra da un campetto in sintetico che ha visto tempi migliori. Rispetto alle nostre prime visite da queste parti – ahinoi, è passato qualche annetto… – lo stadio è rimasto pressoché immutato. La nuova proprietà Briatore-Ecclestone-Mittal ha provveduto a far compiere qualche lavoretto di cosmesi soprattutto nelle zone dedicate all’hospitality. E poi campeggia ovunque il nuovo stemma, o crest, come si dice da queste parti. Lo scudo bianco-blu sormontato da un pallone e da una corona è un po’ ovunque – anche se noi, inguaribili nostalgici, preferivamo quello vecchio con le tre lettere QPR intrecciate tra loro.
Dentro il Loftus Road ricorda un po’ i vecchi stadi del Subbuteo: tribunette compatte e della stessa altezza,con qualche colonna d’antan che però non disturba troppo la visuale, la distanza delle linee laterale rispetto agli spalti molto ridotta, così come lo spazio tra le file di seggiolini e i piloni dell’illuminazione che svettano maestosi ai quattro angoli del campo. Il terreno di gioco è messo maluccio. Chissà se i ricconi che siedono nel board stanno pensando di dotarlo di un impianto sotterraneo “stato dell’arte” come quello dell’Emirates. L’importante è che non tirino fuori dalla soffitta l’astroturf impiegato negli anni Ottanta – ovvero il campo in sintetico, anche quello molto Subbuteo-style. L’inizio del match sembra preso in prestito da qualche dvd con le compilation del football inglese anni Settanta e Ottanta: niente fronzoli, tante azioni d’attacco e un ritmo da finale olimpica dei 400 metri. Il neo-acquisto Jordi Lopez, spagnolo ex Maiorca, è il padrone del centrocampo, ben coadiuvato dal talentuoso ma discontinuo Wayne Routledge. L’ex Palace, Tottenham e Fulham svaria da destra a sinistra, mettendo sempre in ambasce la retroguardia del Norwich. Dopo una ventina di minuti, però, per il QPR si spegne la luce. Gli ospiti provano anche ad impensierire la difesa biancoblu e raggiungere la seconda vittoria in tutto il 2009, sulla quale costruire una salvezza al momento insperata.
Alla quarta palla lunga consecutiva sparata nel vuoto dai padroni di casa, il gruppetto di amici di mezza età che ha trovato posto alle nostre spalle inizia a spazientirsi. “Roba da Sunday morning football (ovvero quello giocato la domenica mattina da migliaia di dilettanti sparsi per il Paese)”. E ancora “Ci meritiamo un posto a metà classifica”. Come dargli torto, dai vari Dexter Blackstock, Heidur Helguson e Liam Miller ci si aspetta sicuramente di più e anche il forcing messo su all’inizio della seconda frazione di gioco non è che un’illusione. Poi arriva la “frittata”, quella che combina Kaspar Gorkss. Il difensore lettone, messo in difficoltà dal pressing alto esercitato dai canarini, dà via un pallone che in qualche modo poi arriva sui piedi di Darel Russell. Il centrocampista insacca da 7-8 metri con la gradita collaborazione di Radek Cerny non trattiene. Troppa grazia per i mille sostenitori del City assiepati dietro la porta dell’ex estremo difensore del Tottenham, che infatti impazziscono di gioia – uno invade pure il campo, prontamente placcato da un paio di steward. La reazione dei Rangers è poca cosa. Entrano in campo l’italiano Samuel Di Carmine e l’ex West Ham Hogan Ephraim, ma solo quest’ultimo si mette un po’ in evidenza. Ma è una questione di sfumature.
Il QPR costruisce solo un paio di azioni pericolose, mentre il Norwich in contropiede non punge, dovendosi affidare quasi esclusivamente al veterano Carl Cort, un lungagnone che almeno al Loftus Road è sembrato prontissimo per andare in pensione. Presso altri lidi il fischio finale dell’arbitro sarebbe stato salutato in ben altri modi. Qui non si va oltre una pur nutrita salva di boo e fischi. I quattro compari della fila dietro alla nostra sono un po’ scettici sul reale valore di Paulo Sousa. D’altronde anche sulla stampa locale circolano già voci di una panchina scricchiolante e di un Flavio Briatore fin troppo “invadente” nella gestione tecnica. Sarà. Effettivamente visti i risultati e il gioco espresso, un po’ di colpe sono da imputare anche alla società e alle sue scelte. Società che, dopo quasi due anni di promesse, si appresta a vivere anche la stagione 2009-2010 nel purgatorio del calcio inglese. Dura la vita in Championship, mister Briatore…
Purtroppo per loro, gli hoops – i “cerchi”, soprannome che prende spunto dalle strisce orizzontali bianco-blu della maglia – hanno miseramente fallito questa ultima chance di risollevare una stagione finora molto deludente. Eppure nonostante i Rangers siano reduci da una striscia di cinque match senza vittorie e ci sia un tempo da lupi, i tifosi non si tirano certo tirati indietro, riempiendo quasi del tutto le tre tribune del Loftus Road a loro riservate. Insomma niente spalti deserti, che invece sfortunatamente si vedono troppo spesso nella Serie B nostrana.
L’impianto dove da oltre 90 anni gioca il QPR è uno dei più comodi da raggiungere via tube, la mitica metropolitana londinese. Con la Central Line (linea rossa) sono poche fermate dal centro cittadino. Scesi a White City il tratto a piedi da compiere è breve, su una strada costeggiata a destra dal palazzone della BBC e a sinistra da un campetto in sintetico che ha visto tempi migliori. Rispetto alle nostre prime visite da queste parti – ahinoi, è passato qualche annetto… – lo stadio è rimasto pressoché immutato. La nuova proprietà Briatore-Ecclestone-Mittal ha provveduto a far compiere qualche lavoretto di cosmesi soprattutto nelle zone dedicate all’hospitality. E poi campeggia ovunque il nuovo stemma, o crest, come si dice da queste parti. Lo scudo bianco-blu sormontato da un pallone e da una corona è un po’ ovunque – anche se noi, inguaribili nostalgici, preferivamo quello vecchio con le tre lettere QPR intrecciate tra loro.
Dentro il Loftus Road ricorda un po’ i vecchi stadi del Subbuteo: tribunette compatte e della stessa altezza,con qualche colonna d’antan che però non disturba troppo la visuale, la distanza delle linee laterale rispetto agli spalti molto ridotta, così come lo spazio tra le file di seggiolini e i piloni dell’illuminazione che svettano maestosi ai quattro angoli del campo. Il terreno di gioco è messo maluccio. Chissà se i ricconi che siedono nel board stanno pensando di dotarlo di un impianto sotterraneo “stato dell’arte” come quello dell’Emirates. L’importante è che non tirino fuori dalla soffitta l’astroturf impiegato negli anni Ottanta – ovvero il campo in sintetico, anche quello molto Subbuteo-style. L’inizio del match sembra preso in prestito da qualche dvd con le compilation del football inglese anni Settanta e Ottanta: niente fronzoli, tante azioni d’attacco e un ritmo da finale olimpica dei 400 metri. Il neo-acquisto Jordi Lopez, spagnolo ex Maiorca, è il padrone del centrocampo, ben coadiuvato dal talentuoso ma discontinuo Wayne Routledge. L’ex Palace, Tottenham e Fulham svaria da destra a sinistra, mettendo sempre in ambasce la retroguardia del Norwich. Dopo una ventina di minuti, però, per il QPR si spegne la luce. Gli ospiti provano anche ad impensierire la difesa biancoblu e raggiungere la seconda vittoria in tutto il 2009, sulla quale costruire una salvezza al momento insperata.
Alla quarta palla lunga consecutiva sparata nel vuoto dai padroni di casa, il gruppetto di amici di mezza età che ha trovato posto alle nostre spalle inizia a spazientirsi. “Roba da Sunday morning football (ovvero quello giocato la domenica mattina da migliaia di dilettanti sparsi per il Paese)”. E ancora “Ci meritiamo un posto a metà classifica”. Come dargli torto, dai vari Dexter Blackstock, Heidur Helguson e Liam Miller ci si aspetta sicuramente di più e anche il forcing messo su all’inizio della seconda frazione di gioco non è che un’illusione. Poi arriva la “frittata”, quella che combina Kaspar Gorkss. Il difensore lettone, messo in difficoltà dal pressing alto esercitato dai canarini, dà via un pallone che in qualche modo poi arriva sui piedi di Darel Russell. Il centrocampista insacca da 7-8 metri con la gradita collaborazione di Radek Cerny non trattiene. Troppa grazia per i mille sostenitori del City assiepati dietro la porta dell’ex estremo difensore del Tottenham, che infatti impazziscono di gioia – uno invade pure il campo, prontamente placcato da un paio di steward. La reazione dei Rangers è poca cosa. Entrano in campo l’italiano Samuel Di Carmine e l’ex West Ham Hogan Ephraim, ma solo quest’ultimo si mette un po’ in evidenza. Ma è una questione di sfumature.
Il QPR costruisce solo un paio di azioni pericolose, mentre il Norwich in contropiede non punge, dovendosi affidare quasi esclusivamente al veterano Carl Cort, un lungagnone che almeno al Loftus Road è sembrato prontissimo per andare in pensione. Presso altri lidi il fischio finale dell’arbitro sarebbe stato salutato in ben altri modi. Qui non si va oltre una pur nutrita salva di boo e fischi. I quattro compari della fila dietro alla nostra sono un po’ scettici sul reale valore di Paulo Sousa. D’altronde anche sulla stampa locale circolano già voci di una panchina scricchiolante e di un Flavio Briatore fin troppo “invadente” nella gestione tecnica. Sarà. Effettivamente visti i risultati e il gioco espresso, un po’ di colpe sono da imputare anche alla società e alle sue scelte. Società che, dopo quasi due anni di promesse, si appresta a vivere anche la stagione 2009-2010 nel purgatorio del calcio inglese. Dura la vita in Championship, mister Briatore…